I braccianti sikh della Pontina rialzano la testa. Riscoprono la loro combattiva natura: pacifica, ma finalmente arrabbiata. D’altronde il decimo guru, secondo il sikhismo, fu un guerriero.
Gli indiani del Punjab sono scesi in piazza contro il padrone, qui nel Lazio. Dove caporalato e aziende agricole risultano conniventi, il latifondista di provincia (Latina e dintorni) è spesso un agricoltore senza scrupoli, per di più a conoscenza del traffico di uomini alla base della tratta dal subcontinente.
A RACCONTARCI LA NUOVA RESILIENZA INDIANA, DOPO LO SCIOPERO RIUSCITISSIMO DEL 18 APRILE SCORSO A LATINA, È MARCO OMIZZOLO. SOCIOLOGO, RICERCATORE, GIORNALISTA, ATTIVISTA E GRANDE AMICO DELLA COMUNITÀ PUNJABI DI SABAUDIA.
“La manifestazione di Latina è straordinariamente importante: un evento storico – dice- E’ stata preparata nei dieci giorni precedenti da occupazioni pacifiche e proteste e continua oggi con i presidi. Si tratta di una svolta nella consapevolezza degli indiani sikh di avere dei diritti”.
Quel corteo di turbanti, dove a prevalere era il rosso delle bandiere Flai-Cgil, è stato un successo enorme per varie ragioni. Perchè è arrivato dopo anni di lavoro dal basso, e tentativi (durissimi) di far emergere il disagio.
ANNI DI VOLONTARIATO, ASSISTENZA GIURIDICA, CORSI DI ITALIANO, DENUNCE INFORMALI, BATTAGLIE LEGALI. PER LA PRIMA VOLTA IN MODO ECLATANTE LO SCIOPERO È ENTRATO NELLA PIANURA PONTINA. AD INCROCIARE LE BRACCIA SONO GLI ULTIMI TRA GLI ULTIMI DEI LAVORATORI DELLA TERRA. E HANNO MESSO LE AZIENDE CON LE SPALLE AL MURO.
«I padroni sono avvelenatissimi!», conferma Omizzolo. Il leader sikh che guida la protesta ha ricevuto minacce di morte e lo stesso Omizzolo da tempo subisce intimidazioni e minacce.
I potenti si sentivano al riparo. Non hanno mai temuto che i lavoratori indiani, abituati a vivere nelle baracche di lamiera e a subire umiliazioni di ogni sorta (botte, abusi, furti) per 3 euro e 50 l’ora, potessero un giorno dire “no”.