Cos’è che fa del verde agro pontino ex palude bonificata negli anni Trenta – quel coacervo di fattori disumani, all’origine di uno sfruttamento “sistemico” dei lavoratori?
A spiegarlo sono i dossier che la onlus In Migrazione regolarmente pubblica, raccogliendo voci e testimonianze dai braccianti indiani. In particolare sikh, originari del Punjab, piccola regione nordoccidentale dell’India.
Oggi sono loro i coltivatori di questa terra laziale. Oltre 25mila persone che vivono in provincia di Latina, spesso impiegate come braccianti nelle aziende pontine e non di rado sfruttate come schiavi. Senza diritti e visibilità alcuna.
Se non fosse per le feste religiose dove colorano coi loro abiti tipici le strade di Sabaudia. Coltivano e raccolgono per ore le angurie distese al sole, zucchine giganti (i prodotti chimici sono parte del problema), i bei pomodori di serra e di terra.
«Orari di lavoro impossibili, che arrivano a 14 ore filate sotto il sole, o peggio dentro serre asfissianti, sette giorni su sette. Salari da fame che toccano i tre euro l’ora, corrisposti con ritardi di mesi, a volte di anni», si legge nell’ultimo rapporto.
Qui il reportage scritto per POPOLI E MISSIONE