«L’ho fatto: mi sono disimpegnato dagli Stati Uniti. E’ quanto avevo annunciato».
Il Premio Nobel nigeriano Wole Soyinka a un mese dall’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca, fa le valigie e lascia per sempre gli Stati Uniti per protesta.
«Avevo orrore di quello che sarebbe potuto accadere con Trump – ha detto – e così ho gettato via la mia green card e me ne sono tornato in Nigeria».
Da dove era dovuto fuggire negli anni Novanta, perseguitato politico e condannato a morte per “cospirazione” contro il governo militare federale.
Soyinka è drammaturgo, poeta, saggista e intellettuale premiato col massimo riconoscimento internazionale per la letteratura nel 1986. E’ anche un uomo che fa opinione in Africa.
Ancora più di recente, alla piattaforma on line nigeriana Pulse.ng, Soyinka aveva dichiarato: «Il giorno dell’insediamento di Trump alla Casa Bianca celebrerò un funerale privato per piangere la morte del buon senso. E se il Consiglio di amministrazione concorda trasferirò la residenza della mia fondazione fuori dagli Usa». Lo scrittore gestisce la poetry foundation con sede a Chicago.
Nel 1995 scrissero di lui: «E’ una spina nel fianco del dittatore, il poeta e drammaturgo Soyinka. Il Rushdie nigeriano, che ormai viaggia soprattutto per denunciare la situazione politica del suo Paese, incontrando capi di governo e rappresentanti dell’Onu».
Soyinka pare allergico ai populismi e ai regimi. Ma un po’ tutta l’Africa teme il nuovo presidente americano: la stampa locale è scioccata da un’elezione che non promette nulla di buono sotto ogni punto di vista.
Il City Press sudafricano ha scritto che Trump non sa neanche dove sia collocata l’Africa: il neopresidente ignora sia la diaspora africana in America, sia l’esistenza di un’Africa come entità geopolitica a sé stante e possibile partner commerciale e politico.
«Penso – scrive – che questo presidente sia intollerante e disinteressato alle questioni che riguardano la politica interna dei Paesi africani». Ad esempio, insiste l’autore, ignora quello che succede in Somalia ed Etiopia e in altre zone di conflitto.
«Trump non ha grande intuito per i dettagli, al massimo vivrà di macro-valutazioni».
D’altra parte, come riporta il mensile Africa dei Padri Bianchi, pare che Trump in un discorso pubblico del 2015 abbia detto: «Gli africani sono pigri. Il meglio che sanno fare è girare senza far nulla, lamentandosi delle discriminazioni nei loro confronti. L’America non ha bisogno di queste persone. Sono i nemici del progresso. Guardate Paesi come il Kenya: lì i leader non fanno altro che rubare dalle casse pubbliche e portare le ricchezze guadagnate indebitamente all’estero».
I giornali però sono soprattutto preoccupati per l’economia africana: il protezionismo trumpiano non incoraggia l’ottimismo.
In particolar modo sembra a rischio l’AGOA (African Growth and Opportunity Act), un provvedimento firmato 16 anni fa dal Congresso americano e rivolto all’Africa sub-sahariana. Le nazioni che vengono incluse nel programma godono di alcuni benefici relativi alla possibilità di esportare merci verso gli Stati Uniti in condizioni di dazi ridotti o annullati.
Il neopresidente però detesta tutto ciò che sa di abbassamento delle barriere tariffarie ed estensione del libero mercato transfrontaliero. Per la gioia degli oppositori al TTIP, il Trattato transatlantico, già in parte naufragato, tra Usa ed Ue.
Ma per l’Africa questa potrebbe non essere un’ottima notizia. Il City Press scrive che il provvedimento, pensato per espandere gli investimenti americani in Africa sub-sahariana (l’AGOA), forse non verrà soppresso ma certamente non sarà neanche ampliato. «E’ chiaro che Trump è un protezionista e non tollererà nessuna estensione dell’accordo. La politica commerciale sotto Trump andrà attentamente monitorata», scrive.
Il neo-isolazionismo americano preoccupa anche il Time che titola “Trump sarà indifferente all’Africa”. «Ma il vino, la frutta sudafricani e il business delle auto di lusso che fanno parte del commercio con gli Usa e i proventi che arrivano dall’AGOA, non saranno intaccati, almeno fino al 2025 quando gli accordi commerciali scadranno».
In base a questo accordo frutta e vino dal Sudafrica arrivano in America duty free e molte merci africane hanno facilità d’accesso sui mercati statunitensi. Trump avrà voglia di rinnovarlo?
“L’isolazionismo di Trump: minacce ed opportunità per l’Africa”: titola il Mail & Guardian. Altro motivo di tensione per l’Africa è il capitolo aiuti allo sviluppo. Che fine faranno i contributi contro la povertà?
Un bellissimo pezzo di Quartz Africa, portale per nativi digitali, dice che «Trump enfatizza la necessità per l’America di spendere più denaro in patria e meno oltreoceano, inclusi gli stanziamenti per l’aiuto allo sviluppo. E’ una visione condivisa da un segmento significativo dell’America», che si disinteressa del tutto della quota di Pil che gli Usa destinano agli aiuti esteri.
Di certo ad aumentare sarà la spesa destinata alla protezione delle frontiere.
«La presidenza americana probabilmente sosterrà i leader (africani, ndr) più autoritari, che usano il controterrorismo come arma per reprimere i cittadini che hanno visioni opposte alle loro, limitando ancora di più le libertà civili».
D’altra parte il vero chiodo fisso di Trump è la sicurezza: lui punta direttamente all’African Command americano, istituito nel 2007, Africom, com’è generalmente chiamato uno dei sei Dipartimenti della Difesa americana.
Insomma, c’è da temere che il mondo con Trump sarà più piccino che mai, l’America più “protetta” di sempre e molto meno solidale. Nonché parecchio più aggressiva e non solo con l’Africa.