Sarà per contagio virtuoso o per emulazione del personaggio tenace, sta di fatto che i ragazzini non si arrestano più e dalla Danimarca alla Francia, dall’Inghilterra alla Spagna, dal Belgio all’Italia agli Stati Uniti(dove le resistenze trumpiane sono dure a morire), da mesi sperimentano gli scioperi per il clima. Restano fuori dalle aule scolastiche, spesso assieme ai loro insegnanti, per dire no al negazionismo e all’attendismo, sì a misure che fermino l’avanzare del surriscaldamento globale.
Qui la politica c’entra poco – almeno non in senso ideologico: «We are not looking to the right or left. We look forward – non guardiamo a destra o a sinistra, noi guardiamo dritto», scrivono i ragazzini sul sito del Sunrise movement, nato in realtà a Washington nel 2017 ed oggi parte della rete americana del movimento dei giovani del Global strike for future (#fridayforfuture).
Ma cosa ci si aspetta dai teen del pianeta? Davvero milioni di studenti di tutto il mondo possono spingere i governi all’adozione di efficaci misure fiscali, regolamenti regionali e leggi per un taglio delle emissioni di Co2 nell’atmosfera?
Perché di questo si sta parlando: di misure economiche che costringano le industrie ad emettere meno gas nocivi. E di politiche che impongano di stare alla larga dai combustibili fossili.
Anzitutto questi ragazzi, con super-Greta in testa, hanno il merito di aver riportato l’attenzione mondiale su temi dimenticati.
Il clima, l’ambiente, gli orsi polari, i cicloni devastanti, la siccità mortale, i deserti dilaganti sono stati poco attraenti per troppo tempo.
Gli studenti delle scuole dell’obbligo nel corso del 2018 hanno invece fatto schizzare in cima all’agenda tutti questi argomenti soporiferi per la politica. Ed hanno ribaltato l’ordine delle priorità mediatiche in soli sei mesi, ponendoci domande serissime.
Molto dipende da lei, da Greta, la bambina dallo sguardo di ghiaccio senza paura che ha rimesso in riga i ‘grandi’ del pianeta. Innegabilmente ha un certo appeal sui giornalisti e questo è uno dei motivi che hanno spinto i complottisti e delatori a sbizzarrirsi in tesi surreali.
La verità è che Greta Thunberg funziona perchè è un ossimoro vivente: dice cose serissime, con linguaggio da donna navigata, ma è poco più che una bambina. In questo la sindrome di Asperger la aiuta ad essere quel che è: credibile.
Prima di lei i vertici mondiali sul clima erano di una noia mortale. A parlare di surriscaldamento globale c’erano gli scienziati dell’IPCC da un lato e i negazionisti dall’altra. In mezzo i burocrati che stilavano i lunghi documenti Onu. Da Cop24 in poi invece qualcosa si è mosso.
«Nel prossimo periodo finanziario dal 2021 al 2027 – ha detto Jean Claude Juncker davanti a Greta Thunberg lo scorso 21 febbraio – ogni quattro euro spesi all’interno del budget dell’Unione, uno andrà ad azioni mirate a mitigare i cambiamenti climatici».
Poi è stato chiarito che non si tratta di una novità, ma di una decisione già presa proprio in vista del vertice di Katowice, in Polonia, dove l’Unione europea si era impegnata a ridurre le emissioni di CO2 del 40% entro il 2030. L’impressione è che in ballo ci sia molto di più: un cambio di paradigma enorme.
«La scienza parla chiaro, mai più chiaro di così – scrive Francesco Martone, attivista e portavoce del movimento degli human rights defender -. A meno che la comunità internazionale non imprima un netto cambio di passo e decida una volta per tutte di accelerare l’uscita dal circolo vizioso del petrolio e dei combustibili fossili, l’obiettivo minimo di contenimento dell’aumento della temperatura a 1.5 gradi centigradi resterà un’illusione».
Martone fa notare che «è la prima volta che le nuove generazioni si prendono carico di contribuire a risolvere problemi che abbiamo creato noi adulti – precisa a B-hop -. Questa non è una iniziativa isolata ma avviene all’interno di un contesto generale che si muove da anni: le marce di New York, i movimenti che resistono all’avanzata della frontiera estrattiva, imprese che nel settore privato si impegnano nel rinnovabile su piccola scala ed investitori che cominciano a disinvestire dal fossile».
La presenza di milioni di bambini in piazza, durante questa giornata, ci mette di fronte ad una responsabilità gigante: il futuro sono loro. Ma il presente è in mano nostra.
E se vogliamo che loro abbiano un futuro degno, è su di noi che dobbiamo agire, accelerando l’indirizzo politico ed economico che già conosciamo. Lo sforzo dei prossimi mesi e dei prossimi anni sarà quello di virare verso un nuovo paradigma.
Il braccio di ferro vede da una parte migliaia di piccole entità, dall’altra pochi grandi colossi. Ma proprio perché il fronte green è molto frastagliato ed anche ben determinato non è impossibile che si vinca la lotta.