«I vicini non avevano mai sentito niente del genere. Il rombo improvviso degli elicotteri, dopo mezzanotte, risvegliò le famiglie che vivevano in quella zona bucolica del Nordovest della Siria.
Si strinsero nei seminterrati, dentro i depositi, nelle stanze da letto. “Che succede papà?”, Abu Omar ricorda quello che suo figlio gli chiedeva.
“Si salveranno tutti se vi arrendete”, dice di aver sentito Abu Omar. “Quelli che rimangono invece moriranno”».
È il racconto da thriller che i superstiti (i vicini di casa del palazzo esploso a Idlib il 2 febbraio scorso, durante un raid aereo americano) hanno fatto ai giornalisti del New York Times che riportano fedelmente le testimonianze.
“Neighbors recall night of fear in Syria raid” è il titolo del pezzo che – come diversi altri della stampa internazionale – ricostruisce con l’ausilio di alcune piantine, ciò che accadde in quella notte di «sorpresa e terrore».
Dal cielo atterrò un commando americano e con esso un interprete di lingua araba. I soldati cercavano il terrorista numero uno: successore di al-Baghdadi, il nuovo leader dell’Isis, Abu Ibrahim al-Hashemi al-Qurayshi. Per farne fuori uno però gli americani hanno ucciso 12 persone tra cui sei bambini.
E’ soprattutto la stampa araba ad essersi occupata dell’orrore dei cosiddetti “danni collaterali” di questa ennesima tragedia siriana.
Il The New Arab parla di almeno 13 civili uccisi nel blitz, tra cui sei bambini e quattro donne, mentre Al-Jazeera ne conta 12, tra cui sette bambini e tre donne.
Il raid è arrivato ad Atmeh dove vivono i due volte sopravvissuti della guerra: gli sfollati che adesso si accampano nei campi improvvisati, miracolosamente scampati ai bombardamenti aerei del regime.
Ed è lì, nella regione di Idlib, che si anniderebbero le cellule rimaste fuori controllo dell’Isis.
Quella “resistenza” (gli uomini dello Stato Islamico si nascondono anche nelle case di famiglie siriane) ad Assad – resistenza che si vorrebbe decapitare – per essere eliminata richiede la morte di centinaia di innocenti.
Una bella analisi dell’International Crisis group dal titolo “Una morte ad Idlib: l’uccisione del leader numero uno dell’Isis e il suo impatto”, mette in dubbio l’efficacia di queste operazioni ‘mirate’.
«E’ importante notare – si legge – che il singolo territorio, una volta comprensivo di ciò che l’Isis chiamava Califfato, è del tutto frammentato.
Adesso è sotto il controllo di una moltitudine di fazioni: l’esercito iracheno e quello sostenuto dall’Iran; le milizie curde nel Nord della Siria e l’esercito turco, infine il regime siriano».
Un territorio sfilacciato che non può essere recuperato tramite bombardamenti, a meno che non si voglia attaccare anche la popolazione civile.
Come di fatto avviene.
(La foto è di Amnesty: https://www.amnesty.org/en/latest/campaigns/2019/04/from-idlib-to-the-world-we-are-still-here/).