La guerra di Rodrigo Duterte al narcotraffico nelle Filippine si è trasformata in una vera e propria carneficina.

Si parla di oltre 7.600 persone uccise negli ultimi sette mesi, una media di 30 morti al giorno. Uno sterminio di massa, dettato da furore fuori controllo.

Il presidente filippino continua ad eliminare tutto ciò che abbia attinenza con droga e narcotici: da chi ne fa uso a chi li spaccia.

Amnesty International parla di crimini contro l’umanità e dice che a morire sono soprattutto i poveri. La novità è che finalmente anche i vescovi hanno preso una posizione più decisa e lanciano appelli e condanne.

Nessuno, denunciano, sta tutelando la gente comune: chi controlla quello che succede nei ghetti, ai bordi delle strade di periferia, per mano di poliziotti e vigilanti dediti alla caccia alle streghe? Moltissimi innocenti finiscono nel tritacarne di esecuzioni sommarie. E’ uno sterminio dei più poveri e indifesi.

La Conferenza episcopale filippina parla di «regno del terrore», sebbene nell’ultima durissima lettera pastorale non faccia esplicito riferimento al nome del presidente.

«La guerra contro le droghe è in realtà una guerra contro i poveri», affermano i vescovi. La stampa estera – da Vox al Church militant, da Al Jazeera all’Independent – è compatta nel denunciare gli arbitri del giustiziere Duterte e gli abusi della polizia. Il linguaggio usato dall’ennesimo populista al potere è violento e splatter.

«Ha promesso di uccidere 100mila criminali nei primi sei mesi del suo mandato – scrive Vox – e ha avvertito che ci saranno talmente tanti corpi a galleggiare nella baia di Manila che i pesci ingrasseranno».

La Reuters riferisce del botta e risposta tra i vescovi e il portavoce del presidente, Abella: «Anziché parlare di regno del terrore – avverte Abella – la Chiesa dovrebbe contribuire al regno della pace».

Ma come si fa – controbatte la Chiesa – a portare riconciliazione in un Paese dove lo sterminio è visto come normalità e accettato come un dovere dalla gente comune? E’ infatti la mancanza di opposizione interna e la completa accettazione della violenza, che i vescovi rimproverano ai filippini.

Per un Paese che si dice cattolico all’80%, questo non è accettabile. D’altro canto, anche prima che Rodrigo salisse al potere le politiche verso la famiglia erano già nel mirino dei vescovi. La guerra ai poveri non è che l’ultimo atto di un rapporto conflittuale.

Il Southeast Asia Globe titola: “Prosegue la battaglia viziosa di Duterte contro la Chiesa”. I rapporti si sono del tutto deteriorati da quando il governo ha approvato una legge sulla salute riproduttiva (Parenthood and Reproductive Health Act) che in pratica limita le nascite imponendo l’uso del preservativo, tracciando una pianificazione dei nuovi nati.

Il provvedimento venne varato nel 2012, nonostante l’opposizione ecclesiastica. E la Chiesa da allora ha perso molto potere, argomenta il giornale. I vescovi hanno un’influenza pari a zero nei confronti del neopresidente. E la loro voce è poco incisiva.

Asia News riporta le dichiarazioni di monsignor Broderick S. Pabillo, vescovo ausiliare di Manila. Non si possono «prevenire le uccisioni – ha detto all’agenzia di stampa – perché non sappiamo quando avverranno, non sappiamo come vengono portate a termine e chi sono i colpevoli. Quello che possiamo fare è aiutare i tossicodipendenti con la riabilitazione e risvegliare la coscienza del popolo».

Soluzione che appare un po’ fiacca. Un cardinale apertamente schierato col presidente tra l’altro c’è: si tratta dell’arcivescovo emerito Ricardo Vidal.

In un articolo stucchevole dal titolo “Il desiderio di Vidal per il suo compleanno: pace tra Duterte e la Chiesa cattolica”, il quotidiano Inquirer racconta che questo prelato 86enne è totalmente dalla parte del presidente. «Noi nella Chiesa siamo tutti obbligati a pregare per il nostro presidente, che lui ci piaccia o no. Dal momento che ha vinto le elezioni dobbiamo accettarlo. Cooperiamo con lui come possiamo!».

Duterte non nasconde affatto d’essere accecato da un odio primordiale: si dice pronto ad «andare all’inferno» pur di proseguire la sua guerra agli stupefacenti.

«Voi cattolici – è il delirio presidenziale – se credete nei vostri preti e vescovi, state pure con loro. Se volete andare in paradiso, allora andateci con loro. Ma se volete sconfiggere la droga, io andrò all’inferno, venite con me!».

La Stampa riporta la voce di un missionario: «La soppressione dei presunti criminali è molto più efficace della legge. In tutto questo c’è qualcosa di sinistro e di crudele», ha rilevato Shay Cullen, missionario irlandese animatore della Fondazione Preda che gestisce numerose opere sociali.

Un’infografica molto interessante viene dal Philippine Star di Manila, che dopo aver riportato i dati aggiornati degli ultimi morti ammazzati, scrive che piuttosto mancano le leggi da far rispettare e che «gli strumenti giudiziari e i tribunali sono insufficienti ad affrontare il problema del narcotraffico».

Inoltre le statistiche governative sull’uso della droga sono decisamente sovrastimate. La guerra delle cifre e delle statistiche è un capitolo a parte: secondo il governo, i “drogati” sarebbero quattro milioni di persone.

Secondo il Dangerous Drug Board ammonterebbero a 1,8 milioni. Una bella differenza. Il Manila Times si chiede se non sia meglio reintrodurre la pena di morte piuttosto che continuare ad uccidere le persone in strada: «L’amministrazione spinge per reintrodurre la pena capitale in un periodo in cui le esecuzioni sommarie sono all’ordine del giorno. E qualche volta si registrano più morti al giorno».

Infine sia il Foreign Politcy che il locale Minda Nation introducono un elemento in più: siccome la lotta alle droghe, nonostante tutto, non funziona poi tanto, Duterte ha iniziato ad additare i poliziotti “mascalzoni”.

Così in futuro avrà un nuovo nemico da far fuori. «Se la guerra alle droghe non funziona – argomenta bloody Rodrigo – è colpa dei corrotti che si annidano nelle forze di polizia».

Gli amici, per il presidente filippino, si trasformano facilmente in nemici da annientare. Chi sarà il prossimo?