Il Canada non s’arrende e nonostante la chiara debacle negoziale, spera ancora di riuscire a firmare l’accordo commerciale con l’Unione Europea che va sotto il nome di CETA (Comprehensive and Economic Trade Agreement). L’appuntamento è per il vertice Ue-Canada del 27 ottobre che rimane confermato. Ma i canadesi rischiano di andarci da soli. Anche in sede comunitaria in realtà i malumori sono pesanti: le trattative per sciogliere il nodo ‘vallone’ sono frenetiche. Il presidente della Commissione europea Juncker non s’arrende e negozia per convincere i belgi a firmare. Il premier belga però affronta l’ostacolo della Vallonia.
A nutrire ancora aspettative (peraltro piuttosto inverosimili) sul Ceta, in Canada, è il primo ministro Justin Trudeau. Ma anche la titolare al Commercio internazionale, Chrystia Freeland, fino a lunedì dichiarava ai giornali: «il CETA non è morto». Attorno a loro però la politica che ancora rappresenta la gente ha ormai detto un no grande come una casa. E il grande agitarsi di tecnici ed euroburocrati difronte al muro dei parlamenti serve a ben poco.
«Il Canada è pronto a firmare subito – dice ancora la Freeland – abbiamo fatto il nostro dovere. Ora sta all’Europa fare il suo». Il dovere dell’Europa, controbattono gli attivisti europei da tempo impegnati sul fronte del no, è per l’appunto, quello di bloccare un negoziato che i cittadini non desiderano.
L’approvazione definitiva richiede la ratifica dei governi degli Stati membri, tramite il Consiglio europeo, e quella del Parlamento europeo. Ma il Parlamento della Vallonia a sorpresa ha votato contro.
Combattere dal basso i grandi negoziati internazionali si può davvero, e i fatti dimostrano che l’utopia è reale: nel giro di pochi mesi la lobby che difende gli interessi della gente (lavoro, ambiente, commercio e salute) ha vinto due volte.
Il TTIP – il Trattato Transatlantico negoziato con gli Usa – è definitamente affossato e il CETA è di fatto agonizzante.
In questo caso grazie al Belgio che s’è messo di traverso: senza il via libera della regione francofona della Vallonia il Belgio non può ratificare l’accordo commerciale con il Canada e quindi fa saltare l’intero impianto.
Ma a monte di tutto questo c’è il successo della protesta e il distacco sempre più evidente tra le politiche della Commissione europea (iniziative grosse che prende in solitaria) e i bisogni delle persone.
Una democrazia dal basso, molto ben organizzata e capace, ha dimostrato d’essere in grado di soppiantare anche gli accordi diplomatici e commerciali più oscuri e segreti.
«Lo stop del percorso di approvazione del CETA mostra quanto siano l’inadeguatezza e l’insostenibilità delle politiche sostenute dalla Commissione Europea a creare le condizioni per i propri fallimenti», ha dichiarato Monica Di Sisto, di Fairwatch e portavoce della Campagna Stop TTIP Italia. Gli attivisti vogliono mettere la parola fine ai negoziati in modo definitivo e protocollare.
«Rimaniamo comunque con gli occhi aperti – spiega Di Sisto – è necessario che il Consiglio Europeo si esprima in modo incontrovertibile sulla situazione. Per questo chiediamo che sospendano ufficialmente l’approvazione del CETA e il negoziato TTIP, cambiando radicalmente rotta».
Ma perchè i consumatori dovrebbero diffidare di tutte queste iniziative commerciali che tendono ad allargare il mercato, abbassando le cautele e uniformando gli standard di qualità?
Il dossier BUTTA QUELLA PASTA, appena pubblicato dalla campagna Stop TTIP Italia, lo spiega in modo molto chiaro. E solleva una obiezione circostanziata: quella del grano.
«L’accordo CETA di liberalizzazione degli scambi di merci e servizi tra Europa e Canada- scrive – spacciato come modello, per tutti gli accordi commerciali d’ora in avanti, porterebbe a una maggiore presenza di grano, pasta e prodotti da forno canadesi o ad alta presenza di materie prime d’oltreoceano sulle nostre tavole».
Il CETA avrebbe potuto portare «in casa nostra cibo malsano, con più residui di pesticidi, di tossine, di danneggiare i produttori nazionali, i prodotti di qualità e di colpire a morte le regole con le quali oggi difendiamo la nostra sicurezza alimentare, sociale e la nostra democrazia».
I motivi del no vanno anche oltre e riguardano l’Europa intera, ma per ora ci basti un dettaglio tutto italiano.
L’esperienza insegna comunque che le antenne devono rimanere alzate: le istituzioni europee e le controparti internazionali chiudono alcune porte e ne aprono delle altre. E’ possibile che TTIP e CETA, usciti dalla porta rientrino dalla finestra sotto altre forme e colori.
La tendenza è quella di allargare le maglie del mercato e di abbattere tutte le barriere (tariffarie e non) e i nostri rappresentanti, spinti da un’ideologia neo-liberista che incalza, non hanno intenzione di mollare.