Da Avvenire del 20/10/2017, per il pdf clicca qui
I campi di cipolle di “irmã” Izolde, fioriti ad agosto e più verdi a settembre, sono quasi leggenda a Nataleia, al confine tra Nampula e Niassa.
La lattuga, la papaia e i maracuja spiccano come esplosioni di colore nella savana brulla e intensa. Siamo nel nord est del Mozambico rurale, dove la terra è preziosa quanto l’ oro. Se non di più.
Suor Izolde Forigo, brasiliana, congregazione dell’ Immacolata concezion
e, nonché ingegnere agronomo, vive in questo villaggio dal 1997. Nel 2007 fonda la scuola professionale di agraria per l’ agricoltura familiare con 38 alunni.
«Il successo del metodo è dovuto alla pedagogia dell’ alternanza », spiega.
Gli studenti alternano due settimane di lavoro nei campi (la cachamba della famiglia) a due settimane di formazione in aula. Imparano così a trasformare la savana dura e fertile in distese di fagioli, manioca e miglio. E lo fanno rimanendo a stretto contatto con la famiglia allargata.
A scuola studiano come commercializzare i prodotti.
«Il metodo nasce in Francia nel 1935 e viene sviluppato in Brasile: coltivare la terra è parte del fare comunità », precisa suor Izolde. A Natalea
arriviamo guidati da suor Rita Zaninelli, comboniana, attivista del movimento cattolico Giustizia e Pace.
Prima tappa di un lungo viaggio sulle tracce dei «ladri di terra», in un Paese che sempre più è target del land grabbing, l’ accaparramento delle terre. «Qui al nord le multinazionali stanno trasformando migliaia di ettari di terreno comunitario in monocolture di soia, girasoli e jatropha», spiega la religiosa.
Il contrario di quanto da anni va predicando suor Izolde. Le distanze tra un distretto e l’ altro in Mozambico sono enormi: centinaia di chilometri separano suor Rita (nella casa delle comboniane di Nampula) e suor Izolde. Eppure riescono a incontrarsi e combattono insieme per contrastare l’ avanzata delle aziende, soprattutto joint venture tra Brasile e Portogallo, come la Mozaco.
«I metodi di land grabbing sono svariati – spiega suor Rita – adesso ad esempio cominciano a delimitare le terre delle famiglie singolarmente ».
Una volta “recintati”, quei campi diventano visibili. E dunque più facilmente inglobabili dalle aziende.
Il sistema è semplice quanto perverso:
«I padroni delle aziende straniere (ma anche mozambicane) una volta ottenuta una concessione dal governo, si impossessano pezzo dopo pezzo, ettaro dopo ettaro, della cachamba comunitaria, che appartiene alle famiglie in virtù del diritto consuetudinario», spiega la comboniana.
Dimostrare la proprietà della terra è quasi impossibile.
«In cambio – spiegano le due missionarie – le aziende offrono pochi spiccioli oppure promettono di costruire scuole e servizi».
Ma poi non lo fanno. A Natalea la vita è dura e si vede: arriviamo fino al rio Lurio, il fiume che fisicamente separa la provincia di Niassa da quella di Nampula. Lo spettacolo è notevole: dall’ altra parte del fiume quasi asciutto, da attraversare in canoa, spicca il verde dei campi di tabacco. «Le famiglie cercano di coltivare prodotti vendibili sul mercato, ma i prezzi sono sempre più bassi », dice suor Izolde. Mentre lei parla, i bambini guardano nel nostro paniere del pranzo. Non chiedono nulla. Solo occhi puntati. Grandi come laghi. Suor Izolde distribuisce a tutti cosce di pollo e una bottiglina di aranciata. E allora spuntano sorrisi. «Come possono sopravvivere intere comunità con la concorrenza spietata delle multinazionali? », si chiede la suora. Il futuro di migliaia di persone appare già segnato.
Ma la fatica delle missionarie è condivisa: suor Rita Zaninelli lavora con attivisti locali, tra i quali il giovane giurista Assane Tipito. Arriva fin dentro le comunità più sperdute dell’ entroterra mozambicano. Fornisce sostegno legale.
Alla guida di una jeep bianca ci conduce nella cittadina di Malema: all’ altro capo del corridoio di Nacala. In una casetta isolata nella savana, circondata dalla soia della Mozaco, vive mama Luisa, 82 anni. Ogni giorno deve vedersela con i veleni dei pesticidi usati «in maniera industriale» dall’ azienda. A rischio è la salute sua e quella della nipote Angelina, di pochi mesi.
«Giustizia e Pace punta sulla “liberazione” dei contadini vittime dei soprusi: imparare a combattere insieme è già un risultato», dice suor Rita. Lei percorre ogni mese migliaia di chilometri partendo da Nampula per far base a Mutuali o a Nacala, fino al porto dove sorge un’ altra missione comboniana.
La sua rete sono le consorelle. Appoggio e consolazione. La frase che le si sente pronunciare più spesso arrivando dai leader comunitari in lotta per la terra è «estamos juntos!».
Un collegamento più fisico che virtuale. «Sebbene non abbiano né cellulari, né biciclette o altri mezzi di trasporto, cerchiamo di mettere i contadini in rete. Però che fatica!», dice Rita.
Il tramite di questo network è sempre lei: e il metodo è cercare collegamenti trasversali. Mettere assieme società civile mozambicana, metodo brasiliano dei sem terra, missionari, ong, giornalisti. La Chiesa che fa rete col mondo. Per nulla facile, ma l’ unica strada percorribile.
Per leggere l’articolo completo su Avvenire, cliccare qui.