In Angola è vietato protestare. La popolazione giovane (e finalmente arrabbiata) ha tentato di manifestare pacificamente il suo dissenso contro un governo «corrotto e inadeguato», ma in cambio ha ricevuto solo pallottole, gas urticanti e la rabbia di cani scatenati contro la folla.

Lo scorso 11 novembre a Luanda (anniversario della liberazione del Paese dalla dominazione portoghese) un centinaio di attivisti sono stati attaccati pesantemente dalla polizia per aver organizzato una marcia pacifica, follow up di proteste già avviate nei mesi precedenti e dirette a contestare l’amministrazione del presidente Joao Lorenco, al potere dal 2017, anno della dipartita di Josè Edoardo Dos Santos.

Durante l’ultima manifestazione due noti attivisti – Nito Alves e Laurinda Goveia – sono stati feriti gravemente in strada e un ragazzo è rimasto ucciso. Human Rights Watch ha denunciato gli abusi della polizia, chiedendo che «il governo indaghi sull’uso arbitrario e letale della forza per individuare i responsabili».

La stampa internazionale non ha dato risonanza a questi eventi drammatici che di fatto soffocano una ribellione appena nata, voce sommessa della pluriennale insoddisfazione di un intero popolo ridotto alla fame.

E’ chiaro che l‘Angola non esce dalla sua spirale di povertà (con evidenti diseguaglianze tra ricchissimi e poverissimi), debiti, corruzione, nonostante lo scandalo mondiale dei cosiddetti  Luanda Leaks che hanno inchiodato Isabel dos Santos (figlia imprenditrice di Josè Edoardo) alle sue responsabilità criminali. 

Ma andiamo con ordine: a gennaio del 2020 l’impero della donna più ricca d’Africa (Isabel dos Santos) crolla sotto i colpi di un’inchiesta giornalistica internazionale che svela la fitta rete di illeciti finanziari a danno del popolo angolano. I Luanda Leaks sono stati «esplosivi», portando in superficie quello che tutti sapevano senza avere le prove per dirlo.

La sostanza dell’inchiesta, è che padre e figlia hanno amministrato per oltre 20 anni il denaro pubblico come se fosse il loro.  Nel 2017 ad esempio, la Sonangol (compagnia petrolifera di Stato), paga una cifra pari a 38 milioni di dollari per una consulenza ad una società di Dubai, di proprietà di un amico di famiglia.

La storia di Povoado – quartiere poverissimo ai margini di Luanda è un esempio su tutti, sintomatico della gestione criminale e personalistica di Isabel. Questa storia è stata raccontata in un bel reportage dal Guardian e dai media locali che hanno sempre denunciato l’abuso.

Dos Santos nel 2013 “sfratta” mille famiglie di pescatori dal villaggio lagunare di Areia Branca per costruirci sopra un quartiere residenziale tramite una delle sue società commerciali, la Urbinveste.

Povoado, dalla parte opposta della laguna, inizia così a popolarsi di famiglie che non hanno più casa e non sanno dove andare. Da sette anni, 500 di loro, senza reddito e con molti figli, stanno ancora lì. Nessuno ha provveduto ad una sistemazione più dignitosa. I bambini si ammalano di febbre tifoidea, tubercolosi e malaria, anche perché sguazzano tutto il giorno nel fango della palude piena di immondizia.

Se l’inchiesta giornalistica che ha condotto ai Luanda Leaks ha giustamente sollevato il velo che ricopriva tutta la rete dei complici della famiglia al potere, è chiaro che da sola non può bastare. Perché non garantisce né il rientro dei capitali sottratti, né il successivo uso dei fondi pubblici a favore del popolo.

La corruzione statale è qualcosa di molto più radicato e strutturale in Angola, tanto che anche la speranza riposta nel successore di Edoardo dos Santos, Joao Lorenco, è stata ampiamente delusa. 

Nonostante la notizia che il Paese sarà presto il primo produttore al mondo di diamanti, e che nella miniera di Lulo (la più redditizia) è stata ritrovata di recente una gemma di dimensioni rare, 130 carati, la povertà estrema in Angola rimane una costante.

L’Indice di sviluppo umano si attesta allo 0,574 (nel 2000 era di 0,4. Il Paese con l’indice più basso è la Repubblica Centrafricana con 0,005), ponendo l’Angola al 149esimo posto su un range di 186. Il 48% della popolazione vive sotto la soglia di povertà. Eppure il Paese è ricchissimo di risorse.

«Noi percorriamo l’Angola da Nord a Sud e da Est a Ovest – ci raccontano padre Manuel e padre Victor Luis Sequeira, superiore dei salesiani a Luanda – La differenza tra ricchi e poveri qui è sempre evidente: c’è stato un tentativo di riqualificazione dei barrios, delle periferie. Ma questo denaro è stato sempre dirottato altrove».

Dove? Un esempio su tutti: il quartiere di lusso Zango Zero e Kilamba, nei dintorni di Luanda, parte di un progetto di urbanizzazione avviato prima del 2015 dai China International Fund di Angola e Hong Kong, fondi di investimento cinesi. Il quartiere (mai abitato, tanto che gli appartamenti di lusso sono vuoti), è stato finanziato con fondi pubblici angolani, dunque sottratti alla riqualificazione degli slum e alla spesa pubblica.

A denunciare lo scandalo di Zango Zero, prima ancora dei Luanda Leaks, sono state le organizzazioni per i diritti umani, la stampa internazionale e anche quella locale, legata al noto giornalista d’inchiesta Rapahel Marques, con il suo portale Maka Angola, il cui sottotitolo è: in difesa della democrazia, contro la corruzione.

E’ notizia recente che il Procuratore generale dell’Angola ha disposto in queste settimane, il sequestro degli immobili di Zango Zero. L’auspicio è che li usi per dare un’abitazione degna ai più poveri. Ma è molto più verosimile che gli appartamenti verranno venduti a dei privati stranieri.

In effetti Luanda somiglia sempre di più alle città del Sudamerica: la parte moderna e lussuosa della capitale (che ha visto scoppiare un boom edilizio senza precedenti nel periodo del picco petrolifero, dopo il 2004) è in tutto simile ad una ricca megalopoli occidentale. Grattacieli, hotel di lusso e piscine. Il nome più noto è Epic Sana Hotel, un cinque stelle panoramico dove vanno a soggiornare gli uomini d’affari di mezzo mondo.

A raccontare anche visivamente, tramite foto inequivocabili, la diseguaglianza tra ricchi e poveri a Luanda è ancora una volta il Guardian, con un reportage fotografico del gennaio 2019 dal titoloAfter the oil boom”. Proprio accanto a questi luoghi riservati al business dei commercianti di diamanti e petrolio, scrive il quotidiano britannico ecco che si intravedono i barrios come Lixeira, Povoado e molti altri.

Anche i luoghi del divertimento (le discoteche e i locali pubblici per lo svago dei giovani) sono nettamente separati tra ricchi e poveri. Una sorta di apartheid della povertà. Per altro il mercato degli immobili ha visto crescere a dismisura i prezzi del mattone, tanto che Luanda è la città più costosa dell’Africa subsahariana.

La prospettiva di cambiamento reale nel Paese ancora una volta viene dal basso: viene dai giovani che sono la stragrande maggioranza della popolazione.

Su 29 milioni e 780mila abitanti, l’80% ha meno di 30 anni. Eppure, quando questa forza giovane e piena di energia per il futuro si solleva, come è avvenuto in questi mesi, la si reprime violentemente senza che alcuna chance di riuscita.

Non c’è arbitro internazionale che si sollevi in difesa dei diritti di chi avrebbe tutte le ragioni per pretendere finalmente giustizia. In nome di milioni di persone che da sempre vengono schiacciate da poteri più forti, sia esterni che interni e che subiscono una povertà materiale senza speranza.

Foto di TUBARONES PHOTOGRAPHY: https://www.pexels.com/it-it/foto/citta-acqua-strada-tetto-15907805/