Jamal è somalo, ha 24 anni, un bel viso paffuto e occhi che ridono. Indossa un paio di scarponi, una giacca calda, una sciarpa e possiede un cellulare. E’ curato fin nei dettagli. Eppure, sgomberato il campo allestito da Baobab Experience, adesso vive in strada.
Tra la stazione Tiburtina di Roma e i rifugi improvvisati. Qualche volta ha trovato posto in una delle poche strutture d’accoglienza della capitale.
Si capisce che non è appena sbarcato, che tenta da anni una quotidianità italiana. Ancora lontanissima dal realizzarsi però.
Mentre aspetta il suo turno per essere visitato nel camper di Medici per i Diritti Umani, Medu, parcheggiato stasera in piazzale Maslax alla Tiburtina, ci racconta una storia. La sua.
«Sono scappato dalla Somalia perché lì non c’è pace. Era una vita quotidiana impossibile; i clan si contendono tutto in Somalia, perfino le strade su cui camminare».
Jamal parla in inglese ma conosce abbastanza bene l’italiano: lo aveva studiato a casa. E qui lo pratica. La sua non è una delle famiglie più povere. Ma è certamente una famiglia in pericolo.
Ogni metro quadro del territorio somalo, spiega Jamal a B-hop, è sotto il controllo di qualcuno, di tanti. Famiglie, clan, capi locali, boss. E per la gente comune non c’è tregua.
«Facevo ancora la scuola superiore quando ho deciso di partire. Da solo. A casa ho lasciato mamma, papà e cinque tra fratelli e sorelle. Mio padre è morto un anno fa, è stato ucciso in strada».
Il viaggio di Jamal somiglia ai molti viaggi dei giovanissimi ed eroici ragazzi che incontriamo con Medu: mesi e mesi di deserto attraverso la rotta Occidentale, passando per Sudan, Libia e mar Mediterraneo.
Quando gli chiedo se partirebbe ancora, adesso che sa quanto è duro e infinito il viaggio, Jamal fa spallucce, stupito, quasi a dire ‘come fai a non capire’?
«Rimanere era molto peggio che attraversare tutti i pericoli del mondo!».
E prova a rispiegarmi con pazienza come è morto suo padre. Gli hanno sparato così, un giorno qualsiasi, per una banalità. Per la strada.
Chi vuole studiare, chi ha voglia di fare, chi decide di non voler morire per una banalità, la Somalia la lascia. Così come si lascia il Niger. Il Sudan. L’Eritrea.
Oggi Jamal vive a Roma, ha un permesso di soggiorno umanitario, sta per ottenere la residenza ma non ha casa. Né tenda.
Per alcuni mesi è stato ospite delle tende montate dai volontari di Baobab Experience.
Adesso che quel piazzale attrezzato non c’è più, che le forze dell’ordine hanno demolito tutto e recintato la piazza, ora che il gazebo della mensa, sempre pieno e illuminato, è fuori gioco, che i fuochi per scaldarsi nessuno li accende, centinaia di ragazzi passati per la Questura, si sono pian piano dispersi nei non luoghi della lunga Tiburtina. E vivono in strada.
La polizia fa le ronde in macchina, dentro il piazzale chiuso da un muro. La vediamo anche stasera.
I fari delle auto illuminano topi grossi come gatti che fuggono via non appena si accende una luce.
Jamal e tutti gli altri stanno alla larga dalla polizia. Qualche volta sono accolti nelle poche strutture notturne disponibili, del comune di Roma. Ma i posti sono limitati e non ci stanno tutti e 300 i ragazzi che prima vivevano con il Baobab.
In questa serata non freddissima ma umida, i volontari di Medu – il logista Oscar, la coordinatrice dei medici Giulia,il giovane medico Valentino, le volontarie Angela, Martina, Agnese – attendono i loro pazienti.
Decine di ragazzi che arrivano dall’Africa Subshariana, o dal Corno d’Africa; dalla Tunisia, dall’Egitto, dalla Libia. Raccolgono i loro dati, spesso le loro confidenze, le storie. Prendono nota delle peripezie del viaggio, delle violenze subite e dei danni riportati.
Riempiono schede con i dettagli del loro arrivo in Italia, dei documenti in loro possesso.
Si arricchisce così l’archivio Medu, che è statistico ma anche umano. Fatto di numeri, storie, volti e persone.
Medu è una organizzazione umanitaria e di solidarietà internazionale senza fini di lucro fondata a Roma nel 2004; nasce per iniziativa di un gruppo di medici, ostetriche ed altri volontari provenienti da un’esperienza associativa e umanitaria di Médecins du Monde.
E’ presente a Roma, Firenze, Brindisi, Torino, Cagliari, Venezia. E realizza diversi progetti, uno dei quali è il Camper per i Diritti, che tre volte a settimana fa servizio in due luoghi della Tiburtina, a Roma e anche a Firenze.
Oggi è un altro giorno.
Jamal andrà a richiedere una tessera sanitaria, perché ha diritto ad avere un medico di base, e a riempire un modulo per la residenza: anche queste informazioni gli vengono fornite da Medu..
Molti dei ragazzi non sanno neanche di avere dei diritti. Che la sanità è un loro diritto in Italia.
Sanno che sono stati maltrattati, questo sì. Ma credono che sia normale.
Hanno subito violenze, soprattutto in Libia; ma non sanno che è loro diritto denunciarle. E che ricevere percosse ed essere detenuti senza aver commesso reato non è cosa accettabile.
Molti pensano che essendo un destino comune, è anche un destino scontato.
E invece nel dirlo, nel tirare fuori a parole un torto, un disagio, un segreto, una vergogna, un dolore, si apre in loro un varco. E ricominciano a respirare.
E’ così che un volontariato di prima accoglienza, non solo emergenziale, contribuisce a riaccendere una luce.