La Grecia è sempre più strangolata dal meccanismo perverso dei debiti e dei creditori.
Osservare in questi giorni l’odioso balletto di rimpalli dentro la troika dà la misura di quanto sia inestricabile la matassa greca.
I Paesi creditori da una parte e il Fmi dall’altra, con in mezzo il premier Tsipras schiacciato dal peso delle somme da restituire, si rimproverano a vicenda, chiedendo sforzi ulteriori al debitore.
In una bozza di documento diffusa di straforo dalla stampa (e in discussione il prossimo 7 febbraio), il Fondo Monetario ribadisce la sua posizione allarmista: Atene avrebbe bisogno di riduzioni drastiche del debito contratto (con la troika medesima) per far fronte agli impegni contenuti nell’accordo con i creditori. Ossia avere un avanzo primario del 3,5% del Pil entro il 2018.
Secondo l’isituto di Washington se la Grecia non adotta ulteriori misure di austerità e riforme strutturali, non solo non raggiungerà mai quel target ambizioso ma cadrà in una spirale di indebitamento “esplosivo” da qui al 2030.
D’altro canto un debt relief (ammorbidimento del debito già contratto) non piace per niente al fronte dei Paesi intransigenti del Nord Europa: Germania e Olanda anzitutto, che in vista delle elezioni interne non si azzardano ad accordare sconti alla Grecia.
Quindi, ricapitolando: per mantenere la promessa “impossibile” di un avanzo primario al 3,5% del Pil e accedere al promesso terzo pacchetto di aiuti da 86 miliardi di euro, Atene dovrebbe secondo il Fmi avviare riforme di lungo periodo. In primis tagli alle pensioni. Esattamente quello che Tsipras non vuole e non può fare, avendo già ridotto all’osso il paese.
Ma per ottenere altri soldi, necessari per stare appena a galla, dice il Fmi, Atene dovrebbe vedersi ridurre l’attuale somma dovuta alla troika. Altrimenti niente terza tranche: il Fmi minaccia di non parteciparvi, stavolta.
Una follia di richieste e pretese – sia da parte della troika che del Fondo salva stati, ossia l’Esm – che non fanno altro che avvinghiare ancora di più la Grecia nella spirale debitoria.
Mentre i creditori usurai litigano, il popolo greco se la passa sempre peggio.
La stampa non ne parla quasi più: la Grecia è uscita con forza dall’agenda setting dei mass media. Tanto che ci si chiede se la crisi sia ancora lì o se i greci siano miracolosamente sopravvissuti allo strozzinaggio dell’Unione.
Gli ultimi dati “sociali” allarmanti risalgono all’estate scorsa e sono quelli diffusi da Caritas Hellas con Caritas Italiana, nel dossier: Paradosso europeo Impoverimento, indebitamento, iniquità. Ingiustizia.
Ma un recente reportage del Guardian da Salonicco, ha acceso nuovamente i riflettori sul sistema sanitario al collasso: «la povertà crescente e la disoccupazione hanno lasciato 2,5 milioni di greci, ossia un quarto della popolazione, senza assistenza sanitaria», scrive il quotidiano britannico.
La sanità pubblica infatti è garantita solo fino ad un anno dopo la perdita del lavoro. Passato il quale i pazienti si devono pagare da soli l’assistenza sanitaria. Crescendo la disoccupazione, quindi, cresce pure la fetta di popolazione senza copertura sanitaria.
Per rimanere ai numeri, in base agli ultimi dati Eurostat, a dicembre 2016 il tasso più basso di disoccupazione giovanile si era registrato in Germania (6.5%), il più alto in Grecia (era al 44.2% ad ottobre 2016), Spagna (42.9 %) e Italia (40.1 %).
Il debito pubblico greco si attestava al 177,4% del Pil nel 2015, subito seguito da quello dell’Italia al 132,3%, ben al di sopra della soglia del 60%.
Ma il report più preoccupante in circolazione è forse quello dell’Osce (Organizzazione per lo sviluppo economico) del del marzo 2016, l’ultimo divulgato, che presenta poi anche un aggiornamento a novembre 2016.
«La crescita del Pil in Grecia è prevista in ulteriore calo a causa dell’impatto della Brexit e della crisi dei rifugiati – vi si legge – Le condizioni finanziarie sono ancora deboli, limitate dalla natura dei prestiti. L’occupazione continua a crescere specialmente nel settore manifatturiero, ma la disoccupazione è ancora molto elevata, e ha l’effetto di aumentare la povertà».
Il tasso di disoccupazione generale è al 25%: la depressione – dice ancora Ocse – ha spinto molte persone verso la povertà e la disuguaglianza è aumentata.
Insomma un disastro: la schizofrenia europea chiede sacrifici che non serviranno a fare passi verso la ripresa, ma a ripagare quello che è stato prestato, che a sua volta non serve a ridurre la povertà ma la fa aumentare.